La campionessa paralimpica testimonial di “Italy run “si confessa col direttore dell’Istituto Italiano di Cultura prof. Fabio Finotti

 

Serata emozionante all’Istituto di Cultura, grazie alla presenza di Giusy Versace che sabato scorso ha aperto l’Italy Run a Central Park.

Intervistata dal Direttore dell’Istituto, Fabio Finotti, e salutata da Fabrizio di Michele, Console Generale a New York, Giusy Versace ha emozionato e commosso il pubblico che affollava le sale dell’Istituto.  

Grazie a lei abbiamo capito che lo sport non è solo lo sport.

Da sportiva Giusy diventa atleta proprio quando la vita pare dirle che la trasformazione è impossibile. Un terribile incidente automobilistico e un vecchio guard-rail le tolgono le gambe, eppure proprio allora si compie la metamorfosi.

Proprio allora. Quando la decisione è se guardare indietro, compiangersi per sempre, morire dentro, o guardare avanti. Lo sport diventa uno strumento di rinascita. Ė lo sport a dare una nuova vita a Giusy, nuovi traguardi, nuovi stimoli, ispirando una visione diversa dell’handicap, vissuto e testimoniato in prima persona.

Giusy Versace – Foto di Terry W. Sanders

Forse la presenza del padre all’evento di ieri ha accentuato la commozione nella voce di Giusy. O forse è una parte della sua splendida energia il prendere le cose di petto, il mettere sempre il cuore accanto al cervello, come appunto recita il titolo del libro che racconta la sua storia e che ieri tante persone le hanno chiesto di firmare: “Con la testa e con il cuore si va ovunque. La storia della mia nuova vita” (Milano, Mondadori).

“Mi dicevano di lasciar perdere. Mi dicevano che ormai non ero più un’adolescente e che non potevo pretendere di diventare una sportiva. Mi dicevano che sculettavo troppo per poter avere delle gambe artificiali buone per correre”.

Da allora la Versace ha superato le selezioni per la Paralimpiadi di Londra nel 2012, ha vinto un record europeo a Torino, ha conquistato un record italiano nel 2016. In tutto si è aggiudicata 11 titoli in Italia dove tuttora detiene il record sui 60 m. indoor per la sua categoria.

Non contenta dello sport agonistico, si è cimentata in quel complicato incrocio tra arte e atletica che è il ballo. E non si è limitata a partecipare a Ballando con le stelle nel 2014, ma ha vinto la competizione.

“Quando sono entrata a Ballando con le stelle ero preoccupata – ha raccontato. – Sapevo che sarei stata sotto i riflettori ancora più che nella mia esperienza sportiva. Ma era quello che volevo. Non solo per provare a me stessa, una volta di più, che ce l’avrei fatta, ma per testimoniare a tanti come me che la vita ci dice di non fermarci. La vita ci chiama, e per affrontarla bisogna alzare, non abbassare l’asticella”.

Giusy Versace intervistata all’IIC dal prof Fabio Finotti – Foto di Terry W. Sanders

“Che cosa ti ha aiutato di più in questo percorso?” le ha chiesto il Direttore dell’Istituto.

“La fede – ha risposto Giusy – e la famiglia. Non mi sono sentita mai sola, e proprio la solitudine è la paura più grande per persone come me. Si nasce con tante certezze, tanto entusiasmo, poi si raccolgono magari i primi successi, si porta un cognome importante come il mio, e si pensa automaticamente di essere al di sopra di tutto, invincibili, inattaccabili. Poi quando la vita ti toglie molto di quello che ti ha dato, si ha paura che ti tolga davvero tutto, gli altri, te stessa. Ecco, a quel punto avere la famiglia vicino è fondamentale. Qualcuno su cui poter contare, in modo incondizionato”.

“Quando hai capito che ce l’avevi fatta?”

“Quando ho rovesciato la domanda. Quando invece di chiedermi perché proprio a me? ho cominciato a chiedermi perché non a me? Quando ho capito che anche una sconfitta può essere un dono. Non ho mai amato tanto la vita come oggi, perché so quanto è facile perderla, quanto è preziosa… anche la vita che ci sembra incompleta, imperfetta”.

Giusy Versace – Foto di Terry W. Sanders

Da lì è nato anche l’impegno di Giusy sia in politica, sia in ambito sociale con la sua Disabili no Limits Onlus.

“Un’arto artificiale – ha spiegato – può costare migliaia di euro. Non tutti se lo possono permettere, e non se lo può permettere spesso neppure il Servizio Sanitario Nazionale. Tutto quello che riesco a raccogliere con la mia onlus viene utilizzato per dare a quelli meno fortunati di me la possibilità di tornare a muoversi, di essere autonomi. Può essere una gamba, un braccio, qualche volta una carrozzina. Tutto quello che aiuta a rendere indipendenti i disabili e torna loro una dignità”.

Non si tratta, abbiamo capito, di dare aiuto solo ai disabili. Ėun modo di dare aiuto anche a coloro che disabili non sono o non sanno di esserlo (in fondo tutti lo siamo in un modo o nell’altro). Giusy con la sua vita, le sue parole, le sue battaglie, le sue corse e le sue avventure, è riuscita a cambiare non solo la vita di molti disabili, ma la percezione che il mondo ha di loro.

“Mi ricordo – ha raccontato – di quando andavo al mare, anni fa. Facevo il bagno, tornavo in spiaggia. E dovevo togliermi le gambe per svuotarle dell’acqua. Molti attorno a me mormoravano poveretta… che disgrazia! Ora molti dicono Hai visto? Ė la Versace! Vedono me, non il mio handicap”.

Persone, ecco quello che c’è al centro del mondo di Giusy. Persone. Ognuna con la sua mancanza, ognuna col suo miracolo.

Alla conversazione è seguita un Gala dinner – cucinato a sorpresa dal Direttore dell’Istituto. Nel corso della cenaAlessandro Pinto – Founder and President dell’Italian American Sport Foundation – ha consegnato gli Awards della Fondazione per il 2022. Sono stati premiati Stafano Versace (nessuna connessione familiare con Giusy), CEO della Konos gelati; Matt Rizzette, President & Founder del North Six Group; Al DiGuido, Publisher & CEO di americaDomani; Fabio Finotti, Direttore dell’IIC di NY. Una speciale menzione è andata al personale dell’Istituto e in particolare a Malina Mannarino.

E la cena è stata allietata dalla musica di Jill McCarron, vincitrice nel 1995 della tredicesima Great American Jazz Piano Competition a Jacksonville.

Insomma, una serata da record.  In cui abbiamo capito che qualche volta la vita toglie molto per dare ancora di più.

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